Il “fuoco alle polveri” all’aumento dei prezzi, come noto, partì con i famosi “colli di bottiglia” che si vennero a creare con la fine dei lockdown post covid: un mix di fattori, dall’ingorgo cinese, che arrivò a rallentare in modo spaventoso l’attività dei porti cinesi, al blocco del canale di Suez, con l’incaglio della portacontainer Ever Given della Compagnia cinese Evergreen, che costrinse le compagnie marittime a cambiare la rotta verso l’Europa. La “corsa” ad assicurarsi containers e navi, oltre all’allungamento della rotta, con un aumento di oltre il 40% delle miglia percorse, provocò un pauroso aumento dei costi (noli marittimi, costi del puro trasporto marittimo, costi assicurativi, etc) che determinò, insieme ai costi legati all’energia, esplosi con la guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi che ben ricordiamo.
Oggi siamo ben lontani da quel periodo, ma quanto sta avvenendo nel canale di Suez (da dove passa il 12% del commercio mondiale, con 25.886 navi transitate nel 2023 e il 54% del totale dei containers che via mare raggiunge l’Europa), preso di mira dai guerriglieri Houthi, gruppo terroristico yemenita vicino all’Iran e pro-Hamas, torna a creare qualche preoccupazione. Tanto che negli ultimi giorni dell’anno, si è notato un calo dei transiti vicino al 40%. Nello stesso tempo, un po’ come 3 – 4 anni fa, il costo dei noli marittimi è letteralmente decollato, con i prezzi più che raddoppiati, a cui si devono aggiungere gli “extra-charges” dovuti all’aumento dei costi per garantire la sicurezza piuttosto che quelli derivanti dai tempi maggiori per l’arrivo delle merci, vista la necessità di circumnavigare il continente africano (dai 30 giorni circa occorrenti nel caso di utilizzo del canale si arriva a circa 40).
Se il costo dell’energia non preoccupa (i prezzi del petrolio, nonostante le tensioni medio-orientali, non ha dato segni di nervosismo), non così è il mercato del lavoro, con i salari che, in Europa, sono aumentati (dato aggiornato a settembre) del 4,7% contro un’inflazione che, a quella data, era al 4,3% (con una media, sull’anno appena terminato, del 5,7% dall’8,1% del 2022). Mentre l’occupazione continua a crescere.
Due buoni motivi (aumento del costo del trasporto merci e crescita dei salari superiore alla media dell’inflazione) che probabilmente contribuiscono (e contribuiranno) a rendere un po’ più tortuoso il cammino dell’inflazione verso i livelli attesi, con le Banche Centrali (con davanti, in questo caso, la BCE) che a maggior ragione useranno con cautela la leva dei ribassi. Anche perché, guardando all’economia, le dinamiche legate alla recessione non sono così incombenti. Una riflessione che quasi certamente stanno facendo molti analisti: non a caso la percentuale di coloro che ritenevano che già a marzo, la FED prima e la BCE poi, avrebbero iniziato “le danze” è di molto calato, passando in pochi giorni da quasi il 90% a circa il 60%.
Si spiega (anche) in questo modo la flessione registrata dai mercati (quotazioni mercati azionari deboli, tassi, soprattutto quelli “a lungo”, in rialzo) nei primi giorni dell’anno. Fattore, peraltro, non isolato (pensiamo al down-grade di Apple da parte di Barclays, oppure alle prese di beneficio, come normalmente succede dopo settimane di rialzi senza tregua), ma comunque non indifferente per quanto si sta verificando. Mentre si avvicina, per molti Paesi, il tempo delle scelte, a cominciare da Taiwan, dove il prossimo fine settimana (13 gennaio) si terranno le elezioni che ci diranno se gli abitanti dell’isola (circa 24 ML) vorranno rimanere sotto il “cappello” cinese o se, invece, opteranno per l’autonomia (in questo caso c’è da aspettarsi un aumento delle tensioni con gli USA, che da sempre “spingono” per l’indipendenza dalla Cina). Mentre, seppur manchino ancora 11 mesi, si sta già infiammando, negli Stati Uniti, la campagna elettorale tra Biden, in difficoltà nonostante il buon andamento dell’economia, e Trump, a cui, a quanto pare, le sentenze delle Corti di diversi Stati, che hanno confermato la sua “non candidabilità”, “fanno un baffo”, visto che continua ad essere in vantaggio (e non di poco) nei sondaggi (e, cosa che, sotto certi aspetti stupisce, pare sia in netto recupero tra la popolazione afro-americana: se nelle elezioni del 2020 si stima che solo l’8% dei cittadini di colore lo avesse votato, oggi siamo tra il 25 e il 30%, un’enormità).
Si è, intanto, aperta la seconda settimana dell’anno, che inizia, per i mercati del Far East, esattamente come era finita la precedente, con le quotazioni ancora in calo.
Chiusa Tokyo per festività, a Hong Hong l’Hang Seng ripiega del 2% (peggior partenza dal 2005), mentre Shanghai arretra dell’1,42%.
Deboli anche le borse di Australia e Corea del Sud (Sidney – 0,5%, Seul – 0,3%); in controtendenza, invece, Taipei (+ 0,3%).
Intorno alla parità (anche se frazionalmente negativi) i futures americani ed europei.
Debole, nei primi scambi, il petrolio, con il WTI a $ 72,85 (- q,40%).
Gas naturale Usa $ 2,891 (- 0,31%).
Oro a $ 2.039 (- 0,59%).
Spread a 168,8 bp, con il BTP tornato al 3,84%.
Bund al 2,15%.
Treasury Usa di nuovo sopra il 4% (4,05%).
€/$ a 1,095, con € in leggerissimo recupero.
Bitcoin che cerca di riguadagnare quota 45.000 ($ 44.066), dopo il calo della settimana scorsa.
Ps: tempo di anniversari, come spesso succede all’inizio di ogni anno. Ha appena compiuto 70 anni la RAI (che non sta attraversando un periodo di grande forma, a quanto pare). Rimanendo al mondo televisivo, compie 50 anni una delle serie TV (all’epoca si chiamavano “telefilm”) “cult”. Era, infatti, il 15 gennaio 1974 quando esordì, negli USA, Happy days, che 3 anni dopo, approdò sulla nostra televisione. Tutti ricordiamo le vicende della famiglia Cunningham e degli amici dei figli, a cominciare dal “mitico” Fonzie. Vicende che contribuirono, e non poco, a trasportarci nel “sogno americano”.